Conti bancari: presunzione di redditi anche per i lavoratori dipendenti
17-04-2013 16:55 - CONTENZIOSO TRIBUTARIO
È legittimo l´accertamento fondato sulle risultanze delle indagine bancarie condotte dall´Amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente che non sia lavoratore autonomo, a prescindere, quindi, dal tipo di attività svolta.
È questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione nella sentenza n. 8047 del 3 aprile.
I giudici di legittimità estendono anche ai lavoratori dipendenti la presunzione legale d´imponibilità prevista dagli articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972 e posta a fondamento degli accertamenti bancari.
Sulla questione la Cassazione si era già espressa con la sentenza 19692/2011. In quella circostanza, i giudici di legittimità chiarivano, in linea con quanto statuito di recente, che "gli artt. 32 e 38 Dpr 600/1973 hanno portata generale e pertanto riguardano la rettifica delle dichiarazione dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell´attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengono" (cfr Cassazione 1401/2011).
Accertamento bancario: inversione dell´onere della prova
In tema di accertamento delle imposte dirette, l´articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/1973, introduce una presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare di conti correnti bancari. Norma del tutto omologa, ai fini Iva, è prevista dall´articolo 51, primo comma, n. 2), del Dpr 633/1972.
Ciò significa "che la stessa legge ritiene certo fino a prova contraria, che deve essere fornita dal contribuente, che tutti i movimenti di un conto corrente intestato al contribuente sono al medesimo imputabili" (si vedano, tra le più recenti, le seguenti sentenze della Corte di cassazione: 20858/2007, 16720/2007, 13819/2007, 6743/2007, 19330/2006 e 14675/2006).
Il contribuente sottoposto a indagine fiscale deve rendere prova contraria, ossia dimostrare che le movimentazioni bancarie risultanti dal suo conto e non contabilizzate non generano reddito.
Il valore probatorio degli elementi raccolti (versamenti su conti non giustificati), pertanto, esonera l´ufficio dal dimostrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dall´articolo 2729 del codice civile, con riferimento alle presunzioni semplici, la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice.
Le presunzioni legali relative previste dall´articolo 2728 del codice civile (presunzioni bancarie, redditometro), invece, dispensano l´Amministrazione dalla prova che però è trasferita in senso negativo a carico del contribuente.
Iter giuridico
Il contenzioso in esame origina da un avviso di rettifica Iva emesso dall´ufficio sulla base di elementi presuntivi, nello specifico versamenti non giustificati sul conte del contribuente.
I giudici di legittimità, pur respingendo il ricorso dell´Amministrazione, chiariscono che "L´art. 51 comma 2, nn. 2) e 7), del Dpr. 26 ottobre 1972 n. 633 accorda all´ufficio, in tema di Iva, il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione".
Nel passaggio successivo, i giudici osservano che la presunzione d´imponibilità "ha portata generale e riguarda le dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, a prescindere dall´attività svolta".
In definitiva, grava sul contribuente l´onere di provare la non imponibilità delle somme versate perché già contabilizzate o esenti da imposta, circostanza quest´ultima ampiamente provata dal ricorrente.
Il Collegio di legittimità, inoltre, nel respingere il ricorso incidentale della parte, ribadisce che "rientra nel potere dell´Amministrazione finanziaria, nell´ambito della previsione di legge, di scegliere il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, parte contribuente, in assenza di peculiarità pregiudizievoli, non ha titolo a dolersi della scelta operata (cfr Cassazione 8333/2012).
Osservazioni
In definitiva, le rettifiche conseguenti a indagini finanziarie hanno portata generale, potendo operare nei confronti di qualsiasi contribuente, sebbene l´articolo 32, comma 1, n. 2), nella formulazione applicabile ratione temporis, parlasse di soli "ricavi" e non di "compensi". (la Finanziaria 2005 ha modificato l´articolo 32 aggiungendovi espressamente il termine "compensi").
L´utilizzo dell´accezione "ricavi" non impedisce all´ufficio di presumere, per qualsiasi contribuente, che i versamenti effettuati su conti privi di giustificazione costituiscano reddito.
La giurisprudenza ha aggirato il dato testuale facendo riferimento a un presunto uso non tecnico del termine ricavo (cfr Cassazione 4601/2002).
La stessa norma, per come formulata, pone un limite alle sole rettifiche fondate su prelevamenti non contabilizzati.
Una spesa non giustificata, infatti, fa presumere la produzione di reddito per gli imprenditori e i lavoratori non dipendenti, dal momento che solo quest´ultimi sono nella condizione di poter attuare attività di investimento, quali presupposti per il conseguimento di ulteriori redditi.
Di contro i versamenti non giustificati possono, ragionevolmente, indurre l´ufficio al recupero delle somme non dichiarate anche se si tratta di lavoratori dipendenti.
È questo il principio di diritto enunciato dalla Cassazione nella sentenza n. 8047 del 3 aprile.
I giudici di legittimità estendono anche ai lavoratori dipendenti la presunzione legale d´imponibilità prevista dagli articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972 e posta a fondamento degli accertamenti bancari.
Sulla questione la Cassazione si era già espressa con la sentenza 19692/2011. In quella circostanza, i giudici di legittimità chiarivano, in linea con quanto statuito di recente, che "gli artt. 32 e 38 Dpr 600/1973 hanno portata generale e pertanto riguardano la rettifica delle dichiarazione dei redditi di qualsiasi contribuente, quale che sia la natura dell´attività dagli stessi svolta e dalla quale quei redditi provengono" (cfr Cassazione 1401/2011).
Accertamento bancario: inversione dell´onere della prova
In tema di accertamento delle imposte dirette, l´articolo 32, comma 1, n. 2), del Dpr 600/1973, introduce una presunzione legale relativa a carico del contribuente che sia titolare di conti correnti bancari. Norma del tutto omologa, ai fini Iva, è prevista dall´articolo 51, primo comma, n. 2), del Dpr 633/1972.
Ciò significa "che la stessa legge ritiene certo fino a prova contraria, che deve essere fornita dal contribuente, che tutti i movimenti di un conto corrente intestato al contribuente sono al medesimo imputabili" (si vedano, tra le più recenti, le seguenti sentenze della Corte di cassazione: 20858/2007, 16720/2007, 13819/2007, 6743/2007, 19330/2006 e 14675/2006).
Il contribuente sottoposto a indagine fiscale deve rendere prova contraria, ossia dimostrare che le movimentazioni bancarie risultanti dal suo conto e non contabilizzate non generano reddito.
Il valore probatorio degli elementi raccolti (versamenti su conti non giustificati), pertanto, esonera l´ufficio dal dimostrare i requisiti di gravità, precisione e concordanza previsti dall´articolo 2729 del codice civile, con riferimento alle presunzioni semplici, la cui idoneità probatoria è rimessa alla valutazione del giudice.
Le presunzioni legali relative previste dall´articolo 2728 del codice civile (presunzioni bancarie, redditometro), invece, dispensano l´Amministrazione dalla prova che però è trasferita in senso negativo a carico del contribuente.
Iter giuridico
Il contenzioso in esame origina da un avviso di rettifica Iva emesso dall´ufficio sulla base di elementi presuntivi, nello specifico versamenti non giustificati sul conte del contribuente.
I giudici di legittimità, pur respingendo il ricorso dell´Amministrazione, chiariscono che "L´art. 51 comma 2, nn. 2) e 7), del Dpr. 26 ottobre 1972 n. 633 accorda all´ufficio, in tema di Iva, il potere di richiedere agli istituti di credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati nella dichiarazione annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione".
Nel passaggio successivo, i giudici osservano che la presunzione d´imponibilità "ha portata generale e riguarda le dichiarazioni dei redditi di qualsiasi contribuente, a prescindere dall´attività svolta".
In definitiva, grava sul contribuente l´onere di provare la non imponibilità delle somme versate perché già contabilizzate o esenti da imposta, circostanza quest´ultima ampiamente provata dal ricorrente.
Il Collegio di legittimità, inoltre, nel respingere il ricorso incidentale della parte, ribadisce che "rientra nel potere dell´Amministrazione finanziaria, nell´ambito della previsione di legge, di scegliere il metodo di accertamento da utilizzare nel caso concreto e, pertanto, parte contribuente, in assenza di peculiarità pregiudizievoli, non ha titolo a dolersi della scelta operata (cfr Cassazione 8333/2012).
Osservazioni
In definitiva, le rettifiche conseguenti a indagini finanziarie hanno portata generale, potendo operare nei confronti di qualsiasi contribuente, sebbene l´articolo 32, comma 1, n. 2), nella formulazione applicabile ratione temporis, parlasse di soli "ricavi" e non di "compensi". (la Finanziaria 2005 ha modificato l´articolo 32 aggiungendovi espressamente il termine "compensi").
L´utilizzo dell´accezione "ricavi" non impedisce all´ufficio di presumere, per qualsiasi contribuente, che i versamenti effettuati su conti privi di giustificazione costituiscano reddito.
La giurisprudenza ha aggirato il dato testuale facendo riferimento a un presunto uso non tecnico del termine ricavo (cfr Cassazione 4601/2002).
La stessa norma, per come formulata, pone un limite alle sole rettifiche fondate su prelevamenti non contabilizzati.
Una spesa non giustificata, infatti, fa presumere la produzione di reddito per gli imprenditori e i lavoratori non dipendenti, dal momento che solo quest´ultimi sono nella condizione di poter attuare attività di investimento, quali presupposti per il conseguimento di ulteriori redditi.
Di contro i versamenti non giustificati possono, ragionevolmente, indurre l´ufficio al recupero delle somme non dichiarate anche se si tratta di lavoratori dipendenti.
Fonte: Fisco Oggi