Il medico dipendente non deve fatturare la consulenza occasionale
11-12-2015 10:01 - IVA
Il medico dipendente, in rapporto esclusivo, dell’azienda sanitaria locale qualora effettui prestazioni medico-legali in via occasionale non è tenuto all’apertura della partita Iva e non deve emettere alcuna fattura elettronica.
Lo ha chiarito la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 88/E/2015.
L’Ufficio risponde ad un interpello presentato dall’Inps nel quale l’istituto chiedeva quale fosse il corretto regime fiscale da applicare ai compensi da versare ad un medico geriatra dipendente di una Asl per le prestazioni svolte in qualità di consulente tecnico d’ufficio (CTU) nel corso di un giudizio. In particolare, l’Inps si è posto il dubbio se il compenso dovesse essere assoggettato ad Iva e documentato con una fattura elettronica.
Preliminarmente l’Agenzia evidenzia il metodo logico di ordine generale che è opportuno seguire per dar soluzione a questioni di tale portata. In primo luogo, è necessario verificare se l’operazione sia rilevante ai fini dell’Iva, considerando sia il profilo soggettivo che oggettivo. Solo in caso affermativo, occorre poi valutare la natura del committente/cessionario e, qualora egli sia un soggetto avente natura di pubblica Amministrazione (circolare n. 1/DF/2015), l’operazione deve essere documentata con una fattura elettronica.
Riguardo alla fattispecie oggetto di interpello, per individuare il corretto trattamento Iva di consulenze medico-legali effettuate da medici dipendenti in rapporto esclusivo e autorizzati a espletarle a titolo personale al di fuori dell’attività intramuraria, l’Ufficio ribadisce quanto già chiarito nella risoluzione n. 42/E/2007, ossia che occorre distinguere tra:
• il caso in cui le prestazioni medico-legali siano rese all'Autorità giudiziaria, nell'ambito di un procedimento penale;
• il caso in cui le prestazioni medico-legali siano rese nel quadro di un giudizio civile o eseguite per finalità assicurative, amministrative e simili.
Nella prima ipotesi, l’attività di consulenza costituisce esercizio di pubblica funzione. Posto che le attività che costituiscono pubbliche funzioni, ai sensi della lettera f) del comma 1 dell’articolo 50 Tuir, configurano di base un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, esse possono essere ricondotte all’esercizio di attività professionali o d’impresa solo se effettuate da soggetti che di per sé sono professionisti o imprenditori. In questa circostanza la consulenza tecnica è assoggettata ad Iva e deve essere documentata con fattura elettronica.
Nella seconda ipotesi, invece, rileva, ai fini dell’assoggettamento ad Iva, il fatto che la prestazione sia svolta con carattere di abitualità. Infatti, ciò implica l’obbligo di apertura della partita Iva e, conseguentemente, l’obbligo di fatturazione elettronica laddove il cliente sia una pubblica Amministrazione. Diversamente, qualora la consulenza sia occasionale, l’operazione rimane esclusa dal campo di applicazione dell’Iva per carenza del presupposto soggettivo così come definito dall’articolo 5 D.P.R. 633/1972.
Ne deriva che il medico dipendente, in rapporto esclusivo, dell’Azienda sanitaria, allorché effettui solo in via occasionale prestazioni medico-legali non è obbligato ad aprire la partita Iva né - considerando la natura pubblica del committente - a emettere fattura elettronica.
È evidente che lo stesso trattamento non può che risultare applicabile per qualunque altro dipendente che esegua consulenze tecniche d’ufficio.
La questione si posta, quindi, nell’individuare se, nella specifica circostanza, l’attività di consulenza sia svolta in via
• abituale, e quindi con regolarità, sistematicità e ripetitività, ovvero
• occasionale, e quindi in modo accidentale e sporadico.
Sul punto l’Ufficio precisa che tale valutazione deve essere fatta caso per caso e ricorda che l’iscrizione volontaria in apposito albo professionale può costituire indizio di abitualità (cfr. Cassazione n. 2297/1987).
Vale la pena ricordare che, a tal fine, un utile riferimento può essere rappresentato anche da quanto chiarito, sebbene nell’ambito della disciplina delle collaborazioni coordinante e continuative, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la circolare n. 1/2004. Nell’occasione è stato precisato che per lavoro occasionale si intendono “i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5mila euro”.
Lo ha chiarito la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 88/E/2015.
L’Ufficio risponde ad un interpello presentato dall’Inps nel quale l’istituto chiedeva quale fosse il corretto regime fiscale da applicare ai compensi da versare ad un medico geriatra dipendente di una Asl per le prestazioni svolte in qualità di consulente tecnico d’ufficio (CTU) nel corso di un giudizio. In particolare, l’Inps si è posto il dubbio se il compenso dovesse essere assoggettato ad Iva e documentato con una fattura elettronica.
Preliminarmente l’Agenzia evidenzia il metodo logico di ordine generale che è opportuno seguire per dar soluzione a questioni di tale portata. In primo luogo, è necessario verificare se l’operazione sia rilevante ai fini dell’Iva, considerando sia il profilo soggettivo che oggettivo. Solo in caso affermativo, occorre poi valutare la natura del committente/cessionario e, qualora egli sia un soggetto avente natura di pubblica Amministrazione (circolare n. 1/DF/2015), l’operazione deve essere documentata con una fattura elettronica.
Riguardo alla fattispecie oggetto di interpello, per individuare il corretto trattamento Iva di consulenze medico-legali effettuate da medici dipendenti in rapporto esclusivo e autorizzati a espletarle a titolo personale al di fuori dell’attività intramuraria, l’Ufficio ribadisce quanto già chiarito nella risoluzione n. 42/E/2007, ossia che occorre distinguere tra:
• il caso in cui le prestazioni medico-legali siano rese all'Autorità giudiziaria, nell'ambito di un procedimento penale;
• il caso in cui le prestazioni medico-legali siano rese nel quadro di un giudizio civile o eseguite per finalità assicurative, amministrative e simili.
Nella prima ipotesi, l’attività di consulenza costituisce esercizio di pubblica funzione. Posto che le attività che costituiscono pubbliche funzioni, ai sensi della lettera f) del comma 1 dell’articolo 50 Tuir, configurano di base un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, esse possono essere ricondotte all’esercizio di attività professionali o d’impresa solo se effettuate da soggetti che di per sé sono professionisti o imprenditori. In questa circostanza la consulenza tecnica è assoggettata ad Iva e deve essere documentata con fattura elettronica.
Nella seconda ipotesi, invece, rileva, ai fini dell’assoggettamento ad Iva, il fatto che la prestazione sia svolta con carattere di abitualità. Infatti, ciò implica l’obbligo di apertura della partita Iva e, conseguentemente, l’obbligo di fatturazione elettronica laddove il cliente sia una pubblica Amministrazione. Diversamente, qualora la consulenza sia occasionale, l’operazione rimane esclusa dal campo di applicazione dell’Iva per carenza del presupposto soggettivo così come definito dall’articolo 5 D.P.R. 633/1972.
Ne deriva che il medico dipendente, in rapporto esclusivo, dell’Azienda sanitaria, allorché effettui solo in via occasionale prestazioni medico-legali non è obbligato ad aprire la partita Iva né - considerando la natura pubblica del committente - a emettere fattura elettronica.
È evidente che lo stesso trattamento non può che risultare applicabile per qualunque altro dipendente che esegua consulenze tecniche d’ufficio.
La questione si posta, quindi, nell’individuare se, nella specifica circostanza, l’attività di consulenza sia svolta in via
• abituale, e quindi con regolarità, sistematicità e ripetitività, ovvero
• occasionale, e quindi in modo accidentale e sporadico.
Sul punto l’Ufficio precisa che tale valutazione deve essere fatta caso per caso e ricorda che l’iscrizione volontaria in apposito albo professionale può costituire indizio di abitualità (cfr. Cassazione n. 2297/1987).
Vale la pena ricordare che, a tal fine, un utile riferimento può essere rappresentato anche da quanto chiarito, sebbene nell’ambito della disciplina delle collaborazioni coordinante e continuative, dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la circolare n. 1/2004. Nell’occasione è stato precisato che per lavoro occasionale si intendono “i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5mila euro”.
Fonte: www.ecnews.it